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ASSEMBLEA ANNUALE DEGLI ISCRITTI AL SINDACATO SARCIT DI TERNI.
10 GIUGNO 2006
Intervento dell’Avv.Gianluca Bassetti
Sono stato invitato dal Sindacato degli Agenti e rappresentanti di commercio e dell’industria di Terni a riferire in merito a quanto contenuto nella recente pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, emessa il 23.03.2006 e relativa all’Indennità di cessazione del rapporto degli agenti di commercio.
Il mio intervento vuol essere prevalentemente pratico, come ritengo sia la mia professione, per cui ho ritenuto opportuno sintetizzare il più possibile la problematica ed adottare un linguaggio non tecnico, di immediata comprensibilità. Mi scuso, quindi, sin d’ora, con tutti coloro che, avendo avuto modo di approfondire la questione, ne conoscono anche le sfaccettature più recondite, volutamente trascurate nella presente trattazione.
Per un corretto inquadramento della questione bisogna fare un piccolo passo indietro.
A seguito di una direttiva della Comunità Europea, la n.86/653, veniva modificato l’art.1751 del codice civile, recante disposizioni in materia di “Indennità in caso di cessazione del rapporto” dell’agente di commercio. La nuova disciplina, frutto di due interventi successivi del legislatore italiano, veniva ad introdurre nel nostro ordinamento un concetto di indennità per lo scioglimento del contratto, non più legata alla semplice applicazione di criteri matematici, basati sull’ammontare delle provvigioni percepite dall’agente nel corso del rapporto con la casa mandante e nella misura stabilita dalla contrattazione collettiva (percentuali fisse), ma al soddisfacimento di due condizioni concorrenti. Per il sorgere del diritto all’indennità, l’agente deve dimostrare di aver apportato nuova clientela alla casa mandante ovvero di avere sviluppato sensibilmente gli affari con i clienti esistenti, con conseguenti vantaggi per la preponente, e che il pagamento della indennità sia equo tenuto conto di tutte le circostanze del caso.
L’introduzione di questa nuova previsione veniva a creare una frattura con quanto disposto dalla vigente contrattazione collettiva, poiché, mentre da un lato gli accordi economici collettivi continuavano a riconoscere l’indennità, indistintamente, a tutti gli agenti e senza condizioni, determinandone l’ammontare secondo i predetti criteri matematici, il codice civile affermava il diritto dell’agente ad un’indennità cosiddetta “europea”, che veniva quantificata in misura di gran lunga superiore a quanto sarebbe risultato applicando i noti criteri matematici.
L’art.1751 c.c., infatti, contempla un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.
Piatto ricco, mi ci ficco!!
E’ inutile dire che nessuno sottolineava il fatto che, da un lato, gli accordi economici collettivi riconoscevano a tutti gli agenti un’indennità matematicamente determinata, senza condizioni, mentre dall’altro il codice prevedeva un’indennità non determinata nel suo ammontare e condizionata al verificasi di ben due importanti presupposti. Nessuno si curava neppure di rilevare che il criterio di calcolo previsto dall’art.1751 c.c. quantificava l’indennità in questione solo nella misura massima, nulla prevedendo circa la misura minima, che quindi poteva anche essere infinitesimale!
Si faceva largo il nuovo concetto di “indennità meritocratica”. Gli Accordi Economici Collettivi assicuravano “poco ma a tutti”, l’art.1751 c.c. premiava solo i più meritevoli.
E’ chiaro che non esistono agenti di commercio che non abbiano soddisfatto le condizioni di cui all’art.1751 c.c. e che, quindi, non meritino l’indennità prevista da quella norma! In quale misura? Nel massimo, ovviamente! Al minimo o al medio nessuno aspira.
Cresce il contenzioso con le aziende mandanti.
I nuovi Accordi Economici Collettivi del 2002 cercano di risolvere la questione introducendo, a fianco delle indennità di fine rapporto tradizionali, cioè la suppletiva di clientela ed il F.I.R.R. anche una indennità di natura meritocratica. I risultati concreti sono deludenti. Applicando i criteri di calcolo dell’indennità meritocratica previsti dagli A.E.C. gli agenti ricevono solo qualche spicciolo in più. Niente rispetto alle potenzialità di cui all’art.1751 c.c.
Vieppiù, con l’applicazione dei criteri adottati dai vigenti accordi economici collettivi, all’agente viene di fatto impedito di raggiungere il tetto massimo dell’indennità, fermandosi egli ad importi sempre lontani da quel limite.
Da qui la vexata quaestio.
Dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione veniva affrontata la questione se la normativa nazionale di attuazione della direttiva europea può consentire che un accordo (o contratto) collettivo (vincolante per le parti di determinati rapporti) preveda un’indennità dovuta all’agente nel concorso delle condizioni di cui abbiamo parlato sopra e liquidabile secondo criteri desumibili dal medesimo accordo, un’indennità che, da un lato, (ed almeno per una parte di essa) è dovuta all’agente a prescindere dalle condizioni previste dalla direttiva europea e, dall’altro, sia quantificabile non già secondo i criteri ricavabili dalla direttiva (e, se del caso, nella misura massima dalla stessa indicato) ma secondo i criteri predeterminati dall’accordo economico collettivo.
Della questione veniva investita la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, affinchè desse un’interpretazione autentica delle norme dettate dalla direttiva 86/653.
Con la Sentenza del 23.03.2006, la Corte enuncia i principi di cui appreso.
In primo luogo, l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dal dettato della direttiva 86/653 non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati nella direttiva medesima, a meno che non sia provato che l’applicazione degli A.E.C. garantisca in ogni caso all’agente di commercio un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della disposizione di legge (cioè della direttiva).
In altri termini, l’accordo collettivo può quantificare l’indennità di cessazione del rapporto secondo criteri diversi da quelli di legge, solo se l’accordo garantisce all’agente in ogni caso un’indennità pari o superiore a quella che gli spetterebbe in base alla legge.
A questo punto si rende necessaria una breve scorsa alle motivazioni della Sentenza.
Secondo la Corte per verificare se l’accordo in deroga alle disposizioni normative è più o meno favorevole rispetto alla legge bisogna effettuare una valutazione “ex ante” e cioè al momento in cui le parti stipulano il contratto. Sa da questa valutazione emerge che l’applicazione dell’accordo non sarà mai sfavorevole all’agente, tenuto conto di tutte le possibilità che sistematicamente si potrebbero verificare nell’ambito di quel contratto, al momento della sua cessazione, allora l’accordo può ritenersi più favorevole.
Cosa accade se le parti, al momento della stipula del contratto, ignorano se, quando questo cesserà, l’accordo sarà più o meno favorevole? In questo caso, visto che le parti lo ignorano, non si può dire che l’accordo è certamente più favorevole.
Questi criteri interpretativi lasciano più di una perplessità.
Limitiamoci a evidenziare i punti certi che emergono dalla pronuncia della Corte.
Poiché la Corte ha fornito un’interpretazione autentica della direttiva, cioè un’interpretazione proveniente dallo stesso soggetto che ha emanato la norma interpretata, i Giudici nazionali cioè, in concreto, il Giudice del Lavoro italiano deve rispettare quei criteri e non può distaccarsene.
I vigenti accordi economici collettivi, alla stregua del ragionamento logico giuridico effettuato dalla Corte, danno una quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto in contrasto con i criteri dettati dalla normativa e, quindi, debbono ritenersi nulli, cioè non applicabili dal Giudice. Ciò in virtù di una semplice considerazione e cioè che i predetti accordi contemplano la possibilità che l’agente percepisca un’indennità inferiore a quella che gli spetterebbe secondo la direttiva europea, il che non è consentito.
A questo punto che sorte avranno gli Accordi Economici Collettivi?
Senz’altro rimarranno validi per tutte quelle disposizioni che non siano contrarie alle legge (cioè tutte, tranne quella relativa all’indennità di cessazione del rapporto, che verrà automaticamente sostituita dalla corrispondente disposizione di legge).
La contrattazione collettiva, in ossequio ai criteri dettati dalla Corte, dovrà o prevedere la possibilità per l’agente di cumulare all’indennità ex art.1751 c.c. un ulteriore emolumento stabilito dagli stessi A.E.C., ovvero contemplare una facoltà dell’agente di optare, al momento della cessazione del apporto, per la disciplina di legge (at.1751c.c.) anziché per quella collettivistica.
Ci sia consentito delineare una terza via, già percorsa in più vertenze di lavoro da parte del sottoscritto avvocato. Fermo restando il limite massimo di quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto, così come calcolato in base all’art.1751 c.c., la contrattazione collettiva, con i tradizionali criteri di calcolo matematico delle indennità suppletiva di clientela e del F.I.R.R. potrebbe fissare la soglia minima dell’indennità, al disotto della quale nessun agente, neppure il meno meritevole, potrà scendere.
Nel ringraziarVi dell’attenzione e rimanendo a Vs. disposizione per qualsiasi chiarimento, saluto cordialmente i presenti. Per chi fosse interessato, il contenuto del presente intervento sarà disponibile sul sito internet del Sindacato.
Avv. Gianluca Bassetti
ULTIMORA. Il 19.06.2006 si è tenuta in Roma, presso la sede nazionale dell’Usarci una importante riunione finalizzata allo studio di possibili modifiche o nuove proposte per gli accordi economici collettivi, con particolare riguardo alle modalità di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto. E’ evidente, infatti, che la Sentenza della Corte di Giustizia vada ad incidere proprio su quella parte degli accordi economici collettivi che era dedicata al calcolo delle indennità e che dava risultati contrastanti con il dettato della direttiva europea di cui abbiamo parlato.
Alla riunione ha partecipato il Presidente dell’Usarci Ciano Donadon, il Segretario nazionale Antonello Marzolla, il Consigliere Gianni Di Pietro, il coordinatore del Centro Giuridico Avv. Carlo Tabellini (Torino), gli Avvocati Clò (Padova), Limatola (Napoli), Pan (Bassano del Grappa), Grilli (Genova), Sacco (Venezia), Marzoli (Pescara) ed il sottoscritto (Terni).
In occasione di questo incontro, che tra breve avrà un seguito, oltre ad esaminare la questione predetta, sono stati toccati importanti temi per la tutela della categoria degli agenti e rappresentanti di commercio, di cui riferirò non appena verranno varate le opportune iniziative.
Un cordiale saluto a tutti.
Avv. Gianluca Bassetti
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