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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 8483 DEL 2
APRILE 2008
Presidente Mattone – Relatore Vidiri - Pm Matera –
Ricorrente Fumo – Controricorrente 3M Italia Spa
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 12 novembre 1998, Mario Fumo, premesso che dal 15
febbraio 1978 sino al 30 novembre 1997 aveva svolto per conto della s.p.a. 3M Italia
l'incarico di agente senza deposito ed a tempo indeterminato per la vendita nella zona della
Campania di prodotti per autocarrozzeria, sosteneva che, all'atto della risoluzione del
rapporto, era rimasto creditore della complessiva somma di lire 335.903.644, di cui lire
60.439.596 a titolo di differenza per indennità di cessazione del rapporto, lire 150.597.950
quale provvigione/indennizzo per l'attività di incasso, lire 119.475.200 per provvigioni
maturate nell'attività di illustrazione e promozione dei prodotti e lire 5.390.898 quali
provvigioni maturate con riferimento all'ordine n. 97.230 in data 27 novembre 1997 della
ditta Battaglia, oltre le differenze a titolo di indennità di cessato rapporto sulle provvigioni
per gli incassi e per l'attività di informazione e pubblicizzazione. Chiedeva, pertanto, che
l'adito giudice condannasse la convenuta al pagamento, per i suddetti titoli, della somma
complessiva indicata, maggiorata degli accessori di legge. Dopo la costituzione della società,
il giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore rigettava il ricorso ed, a seguito del
gravame del Fumo e dopo la ricostituzione del contraddittorio, la Corte d'appello di Salerno
con sentenza del 10 settembre 2004, in parziale accoglimento dell'appello ed in parziale
riforma della impugnata sentenza, condannava la società al pagamento, in favore di Mario
Fumo, della somma di euro 2.784,00 a titolo di provvigione sull'ordine n. 97230 del 28
novembre 1997, nonché della somma, equitativamente determinata, di euro 7.700,00 a
titolo di provvigione per l'attività di incasso, con accessori di legge, da calcolarsi per la prima
somma a partire dalla maturazione del credito e per la seconda a partire dalla data di
deposito del ricorso di primo grado (12 novembre 1998) e sino al soddisfo; confermava nel
resto l'impugnata sentenza.
Nel pervenire a tale decisione, la Corte territoriale osservava - per quanto interessa in
questa sede - che non poteva essere riconosciuta all'agente la indennità di cessazione del
rapporto secondo i criteri fissati dall'art. 1751 c.c., in quanto non ricorrevano nel caso di
specie le condizioni previste dalla suddetta norma codicistica per la liquidazione della
suddetta indennità. Infondata risultava anche la pretesa dell'agente di ottenere il
riconoscimento di un diritto ad un compenso separato per l'attività di promozione dei
prodotti nei confronti di soggetti (autocarrozzerie), in quanto l'attività in esame doveva
considerarsi intimamente connessa con quella tipica dell'agente e, pertanto, priva di una
propria autonoma rilevanza per gli evidenti riflessi che era destinata ad avere sulle vendite,
a prescindere dalla circostanza che esso agente non potesse concludere contratti
direttamente con le autocarrozzerie. Resiste con controricorso la s.p.a. 3M Italia s.p.a.
memoria difensiva di entrambe le parti.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso Fumo Mario deduce violazione dell'art. 1751 c.c., come
modificato dai d. lgs. 303/1991 e 65/99 in relazione agli artt. 17 e 19 della direttiva
653/86/CEE; violazione dell'art. 12 disp. prel. in relazione ai principi di ermeneutica
contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. ed in relazione all'Aec30 ottobre 1992; omessa,
insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. In
particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha errato nell'interpretare la norma
dell'art. 1751 c.c. perché ha ritenuto che detta norma, come novellata dai d. lgs. n.
303/1991 e n. 56/99, non fissa né la natura né la misura di commisurazione della indennità
dovuta all'agente in caso di scioglimento del contratto di agenzia, per cui deve ritenersi che
il legislatore abbia inteso rimettere la determinazione alla contrattazione collettiva. In altri
termini la Corte territoriale ha errato allorquando ha inteso cercare a tutti costi i criteri
determinativi della indennità ex art. 1751 c.c. nell'ambito delle norme collettive di natura
contrattuale tendenti verso il basso ed "ispirate cioè al criterio di riconoscere poco a tutti".
Per finire, la Corte avrebbe dovuto ricercare i criteri di quantificazione dalla norma
codicistica sulla base della sua lettera e ratio in ragione del disposto dell'art. 12 disp. art.
c.c. non potendosi comparare - per la diversità dei presupposti di applicabilità e delle
rispettive finalità - l'art. 1751 e l'Aec del 1992. Nell'ipotesi in cui fosse, invece, stata
reputata possibile la comparazione, doveva in ogni caso considerarsi ugualmente errata la
soluzione fornita dal giudice d'appello per avere lo stesso ritenuto la regola pattizia di
maggior favore rispetto a quella legale con un valutazione da effettuare ex antea.
Il motivo è fondato e, pertanto, va accolto.
Questa Corte ha statuito che in tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di
agenzia, a seguito dell'interpretazione data dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee
(con sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04) sulla portata degli artt. 17 e 19 della
direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del
diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, l'art. 1751,
comma sesto, cod. civ., nel testo sostituito dall'art. 4 del d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303
(attuativo della predetta direttiva comunitaria), va inteso nel senso che il giudice deve
sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto
concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente
comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve
prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o
collettive. Ne consegue, pertanto, che l'indennità contemplata dall'Accordo economico
collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l'agente un trattamento minimo garantito,
che può essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti
all'agente l'indennità di legge in misura inferiore (così Cass. 24 luglio 2007 n. 26347). E
questa Corte di cassazione sempre di recente ha ribadito che in tema di cessazione del
rapporto di agenzia, l'articolo 19 della direttiva n. 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre
1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti
commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della
Corte di giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, nel senso che la predetta
indennità, come risultante dalla disposizione dell'articolo 17, n. 2, della su citata direttiva,
non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità
determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale
accordo garantisca, in ogni caso, all'agente commerciale, un'indennità pari o superiore a
quella che risulterebbe dall'applicazione di detta disposizione(così Cass. 21 ottobre 2007 n.
21088).. Le ragioni poste a base dei enunciati dicta giurisprudenziali vanno ribaditi, stante i
compiti di nomofilachia devoluti a questa Corte di cassazione sicché, come detto, il primo
motivo del ricorso va accolto.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 1742 e ss c.c. e 1362 e ss. c.c. e 12 disp. att. c.c. assumendo al riguardo che il giudice d'appello ha ingiustamente
rifiutato di corrispondergli il compenso per l'attività di illustrazione dei prodotti alle
carrozzerie - come per quella di rilevazione statistica e di relazione - perché i compiti svolti
non rientravano negli obblighi contrattuali dell'agente. Lamenta al riguardo che non si era
tenuto conto in tal modo che tali compiti erano stati spiegati presso soggetti che non
rientravano nella sua zona di operatività e fuoriuscivano dalle previsioni contrattuali.
Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.
Questa Corte di cassazione ha più volte affermato che nel giudizio di cassazione non è
consentita alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali
contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa
interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli
accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del
ricorso non possono infatti risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze
processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della
fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello
dato dal giudice di merito (così: Cass. 30 marzo 2007 n. 7972 ed ancora tra le tante: Cass.
14 giugno 2007 n. 13954). Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha sul punto
rilevato che le parti sin dall'inizio nel dare contenuto specifico al generico dovere di
presentazione e di illustrazione dei prodotti gravanti sull'agente, avevano valutato la parte
dedicata alle autocarrozzerie come funzionale all'intero progetto lavorativo, sicché l'attività
di promozione si configurava connessa intimamente a quella tipica dell'agente. Ne
conseguiva che la mancanza dell'efficacia di tale attività promozionale e il fatto che l'agente
non poteva concludere contratti direttamente con le autocarrozzerie erano circostanze che
non assumevano alcun rilievo autonomo tale da portare all'accoglimento della richiesta del
Fumo.
Corollario di quanto sinora detto è che la sentenza impugnata, per essere sul punto fondata
su una motivazione congrua, priva di salti logici e per avere - all'esito anche di accertamenti
di fatto operati dal giudice d'appello - applicato correttamente la normativa in tema di
agenzia, si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità.
Per concludere, il primo motivo di ricorso va accolto mentre il secondo motivo va rigettato.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto ed, alla stregua dell'art.
384 c.p.c. , essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va rimessa alla Corte
d'appello di Napoli, per l'ulteriore corso del giudizio.
Al giudice di rinvio va rimessa anche la statuizione sulle spese del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Napoli anche per le spese del
presente giudizio di cassazione.
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